I 5 rischi della “Shadow AI” generativa non controllata: perpetuazione di stereotipi e diseguaglianze in ambito DEI.

L’intelligenza artificiale sta entrando nelle organizzazioni a una velocità senza precedenti. Ma non sempre in modo controllato: i collaboratori sperimentano strumenti di AI generativa per scrivere testi, analizzare dati o supportare decisioni, spesso senza una supervisione vera. È ciò che chiamiamo Shadow AI: l’uso non governato dell’intelligenza artificiale all’interno dell’azienda.

In questo articolo, però, l’attenzione è sul modo in cui la Shadow AI può amplificare problemi legati alla Diversità, Equità e Inclusione (DEI).


Dove AI e DEI si incrociano (e perché è un punto delicato)

L’AI generativa produce output basandosi sui dati su cui è stata addestrata.
Un modello linguistico non “comprende” realmente e non “ragiona” come una persona: genera testo stimando la probabilità che una parola segua un’altra, in base agli esempi linguistici che ha analizzato. Questo comporta che possa ereditare — e talvolta amplificare — ciò che è presente nei dati di addestramento: rappresentazioni distorte, stereotipi, scarsa diversità, squilibri culturali o di genere.

Ecco i punti più sensibili in cui l’AI rischia di perpetuare o amplificare problemi di DEI:

1. Dataset squilibrati o non rappresentativi

Se i modelli sono addestrati su dati che riflettono solo alcune culture, percorsi o gruppi demografici, gli output risultano distorti. In ambito HR questo può tradursi in:

  • screening dei CV che penalizzano nomi, percorsi o background meno presenti nei dataset;
  • suggerimenti formativi che replicano modelli tradizionali (es. ruoli tecnici suggeriti più agli uomini);
  • valutazioni di performance meno accurate per gruppi sottorappresentati.
    In breve: dati non inclusivi → decisioni non inclusive.

2. Bias storici presenti nei dati

Se i dati incorporano pratiche aziendali passate (promozioni sbilanciate, valutazioni non eque), l’AI finisce per proporre quelle stesse dinamiche come “standard”. Con effetti pratici come:

  • raccomandazioni di promozione che favoriscono i profili storicamente privilegiati;
  • analisi predittive che “giustificano” differenze non basate su competenza ma su trend distorti;
  • percorsi di carriera influenzati da modelli meritocratici alterati.
    L’AI non distingue tra “storico” e “giusto”: replica ciò che trova.

3. Stereotipi nei modelli linguistici

I modelli generativi completano frasi secondo probabilità, non secondo criteri di equità. Per questo rischiano di riprodurre stereotipi:

  • job description con linguaggi non inclusivi;
  • contenuti formativi che rafforzano rappresentazioni di genere o culturali;
  • comunicazioni aziendali che normalizzano ruoli stereotipati.
    Il risultato: stereotipi che si consolidano nei contenuti quotidiani.

4. Shadow AI che bypassa le policy

Quando i dipendenti usano strumenti AI non autorizzati, aumentano i rischi di bias e decisioni non controllate. Gli impatti tipici sono:

  • valutazioni HR ottenute con strumenti non verificati;
  • CV analizzati da modelli con logiche opache;
  • contenuti formativi generati senza considerazioni culturali o linguistiche.
    Senza governance, l’AI “ombra” può influenzare decisioni sensibili senza controllo.

5. Assenza di supervisione umana competente

Se chi utilizza l’AI non sa riconoscere un bias, tende a considerare l’output “oggettivo”. Questo porta a:

  • decisioni operative basate su analisi distorte;
  • eccessiva fiducia nello strumento;
  • perdita di trasparenza e accountability.
    L’AI non sostituisce il giudizio umano: lo amplifica — nel bene e nel male.

Come evitare che AI e Shadow AI diventino un problema di DEI

1. Formare le persone a riconoscere la Shadow AI e i suoi rischi

Prima ancora dei divieti, è fondamentale far comprendere perché non tutti gli strumenti AI sono adatti a qualsiasi attività.
La formazione dovrebbe spiegare:

  • quando un tool AI può mettere a rischio dati personali o sensibili,
  • perché l’uso “ombra” aumenta l’esposizione a bias,
  • quali controlli adottare prima di usare un modello generativo.

2. Spiegare chiaramente come funziona l’AI generativa (senza tecnicismi)

Per ridurre i bias, le persone devono capire come l’AI produce contenuti.
Un modulo dedicato dovrebbe chiarire:

  • che l’AI non “pensa”, ma predice parole basandosi su frequenze statistiche,
  • che gli errori e i bias non sono bug ma effetti naturali dei dati,
  • perché le persone devono sempre rimanere nella catena decisionale.

3. Inserire un modulo DEI dedicato ai bias algoritmici

Non basta parlare di discriminazione in senso tradizionale: servono esempi concreti di come l’AI può generare ingiustizie.
Il modulo dovrebbe includere:

  • esempi di bias di genere, etnia, età o provenienza,
  • casi in cui l’AI ha amplificato discriminazioni reali,
  • checklist per valutare la qualità e l’equità degli output.

4. Dare alle aziende strumenti concreti di governance (policy, flussi, ruoli)

Una formazione efficace deve essere collegata a regole applicabili.
Si possono includere:

  • policy chiare sull’uso dell’AI,
  • linee guida su cosa può o non può essere inserito nei modelli,
  • ruoli e responsabilità (es. AI champion, AI reviewer),
  • procedure di audit sugli output generativi.

Conclusione: unire Shadow AI e DEI non è un esercizio teorico

È un’urgenza concreta.
Le aziende che introducono l’AI senza governance corrono rischi tecnici, legali e reputazionali. Ma quelle che la introducono senza una prospettiva DEI rischiano di rafforzare proprio le disuguaglianze che vorrebbero eliminare.

La buona notizia? La formazione può fare la differenza.
Non per “insegnare a usare l’AI”, ma per preparare le persone a usarla con consapevolezza, controllo e responsabilità.

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